Vende il CryptoPunk #4156 con 7 milioni di perdita, ma potrebbe averci guadagnato molto, comunque

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Come è possibile riuscire a trarre vantaggio da una vendita in perdita di 7 milioni di dollari? Quando la finanza entra nel mondo degli NFT, tutto è possibile. Forse.


Ci sono, certamente, due diverse interpretazioni del modello NFT. Una è quello di pensare al fenomeno in termini finanziari, e quindi far rientrare il processo in ambiti più o meno speculativi, con tutti gli “escamotage” che simili situazioni si portano dietro. L’altra è quella di guardare solo l’aspetto artistico e quindi collezionare asset, quasi per il solo piacere di possedere un’opera d’arte e supportare l’artista che l’ha realizzata.

Il caso di oggi riguarda il primo aspetto.

Si potrebbe pensare – più o meno erroneamente – che, nel campo finanziario, ad ogni perdita corrisponda un esborso di denaro, fatto all’inizio del processo di acquisto, che non fa rientro nel capitale complessivo dell’investitore al momento della vendita.

Di solito è così, ma in alcuni casi e in relazione al sistema fiscale entro cui si opera, non tutte le perdite “vengono per nuocere”, si potrebbe dire.

Entrare nell’ottica della finanza, significa sfruttare tutti gli strumenti che un determinato sistema fiscale propone e utilizzarne qualcuno a proprio vantaggio.

Il caso del CryptoPunk #4156

Il CryptoPunk #4156 è uno dei “doppiamente rari” della collezione perché include 2 caratteri che sono difficili da reperire in tutta la serie: l’aspetto “scimmiesco” dei tratti del viso (ne sono solo 24 in tutta la collezione) e la bandana blu.

Il CryptoPunk #4156 è stato venduto, la scorsa settimana, per 3,3 milioni di dollari. Sembrerebbe una grande vendita, se non che l’NFT era stato acquistato il 9 Dicembre scorso per 10,26 milioni. A casa mia, questo fa una perdita di circa 7 milioni di dollari.

Rapportando la vendita in ambito cripto – come dovrebbe sempre essere fatto prima di iniziare qualunque considerazione – l’acquisto era stato fatto a 2.500 ETH e la recente vendita è avvenuta a 2.690 ETH.

Sarebbe una regolare vendita in crescendo, se non fosse che Ethereum, nel frattempo è sceso di molto, e quindi, nel cambio con il dollaro, si è indubbiamente verificata una perdita notevole (sempre di dollari).

La finanza, questa sconosciuta

Inutile dire che – aspettando per dei tempi migliori per Ethereum, che potrebbero comunque verificarsi – il valore che oggi attribuiamo a 2.690 ETH potrebbe tornare ad essere superiore ai 10,26 milioni di dollari dello scorso dicembre. E questo è un fatto. Fatto che potrebbe confermare l’ipotesi che si sia trattato comunque di una “buona” vendita che ha realizzato un “eccellente” guadagno.

Ma – senza dover arrivare ad una simile attesa per la risalita di Ethereum – la vendita potrebbe essere stata comunque un “buon affare” per il venditore.

Nel sistema fiscale americano, quando si verificano situazioni del genere in cui l’investitore perde una somma – più o meno considerevole – del suo investimento, c’è la possibilità di registrare questa operazione all’interno delle perdite e quindi ottenere un vantaggio fiscale pari alla somma persa.

foto di Jon Tyson

L’ex proprietario del Punk sarà ora in grado di registrare la recente vendita tra le perdite e ottenere un vantaggio di 7 milioni di dollari sulle sue tasse.

Tutto sommato, quindi, la vendita in perdita potrebbe rivelarsi finanziariamente molto vantaggiosa per l’investitore. Questo avviene tramite un processo noto in America come “tax loss harvesting” (raccolta delle perdite fiscali) che consente appunto di “scalare” dai profitti le somme degli investimenti in perdita.

Questo tipo di mossa è diventata molto popolare in ambito cripto negli ultimi due anni.

Che cos’è la tax loss harvesting?

Negli Stati Uniti (e in molti altri paesi) quando si vende un bene ad un prezzo superiore rispetto a quello d’acquisto, si devono pagare le tasse sulle plusvalenze dei profitti. Se si verifica la situazione opposta, si vende ad un prezzo inferiore rispetto a quello d’acquisto, è possibile dedurre la perdita dalle tasse.

Alcuni investitori vendono di proposito in perdita per compensare le plusvalenze dei guadagni e ridurre il loro relativo carico fiscale.

Nel caso del CryptoPunk #4156, quindi, per il venditore in perdita è possibile ottenere uno “sconto” fiscale di 7 milioni, pur conservando un valore superiore di Ethereum rispetto al passato. Non so dire se nel sistema fiscale USA un futuro rialzo di Ethereum porterebbe ad avere comunque una plusvalenza, ma per l momento lo sconto fiscale c’è e sicuramente l’investitore lo sfrutterà.

Ma gli NFT sono solo speculazione?

Sarei tentato di rispondere “sì” alla domanda, considerando casi del genere, ma gli aspetti da considerare solo molteplici, come avviene in quasi tutte le situazioni.

foto di Sean Pollock

Se si considerano gli NFT al pari di un “investimento”, è chiaro che bisogna ricorrere a tutti i mezzi di cui i sistemi fiscali dispongono per far rientrare le operazioni nell’ambito finanziario e sfruttare ogni più recondito aspetto per trarre dei vantaggi fiscali dai movimenti di acquisto/vendita.

Ma, rilassandosi, gli NFT sono una fonte inesauribile di possibilità per tutti e rappresentano una maniera concreta di supportare l’Arte e gli artisti nella migliore maniera possibile.

Non è tutto CryptoPunk #4156 quello che luccica

Ah, dimenticavo, se si considerano gli NFT come forma di investimento, bisogna essere preparati a tutto e soprattutto essere consapevoli di ciò che si sta facendo, in qualsiasi momento accada.

Questo perché – in casi in cui il rischio dell’investimento è elevato – le perdite possono essere epocali – ugualmente come i guadagni, del resto – senza avere reti sopra a cui cadere (leggi tax loss harvesting) quando si verificano poi quelle cadute di cui sono piene le cronache finanziarie.

Direbbe il saggio: a furia di giocare alla roulette russa, l’unica pallottola nel tamburo prima o poi arriva in canna. Non fosse altro per un elementare e banale calcolo di probabilità.